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Estratto dalla Introduzione al volume “Storia degli Uscocchi”

Per quanti se ne ammazzassero,
altrettanti ne spuntavano fuori.
Come la mitica idra che, seppur decapitata,
rinasce continuamente dal proprio sangue,
così a Segna accorrevano da ogni dove
i delinquenti della peggior risma,
rimpinguando le schiere degli Uscocchi

Minuccio Minucci
in Historia degli Uscochi

La Storia è sempre ricca di sorprese e più la s’indaga più si resta stupiti per la singolarità delle vicende che s’incontrano. Si scoprono avventure pittoresche ed eventi impensabili, accaduti a due passi da casa nostra, magari là dove oggigiorno portiamo i bimbi in vacanza. Come, ad esempio, questa storia dei pirati dell’Adriatico: pirati veri e propri, della stessa risma e della medesima audacia dei ben più famosi bucanieri dei Caraibi, o dei corsari barbareschi che per secoli infestarono il Mediterraneo.
Quest’ultimi furono pirati di religione mussulmana e le loro scorrerie diedero origine all’urlo atterrito “mamma, li Turchi!” che echeggiò a lungo sulle nostre coste. I pirati le cui gesta sono narrate nel presente libro, furono invece dei filibustieri cristiani, e anzi specificatamente cattolici e ortodossi.
Il nome col quale sono passati alla storia è Uscocchi, dalla parola croata uskok che significherebbe fuggiasco e che stava inizialmente ad indicare quella gente dei Balcani – soprattutto serbi e croati – che agli inizi del ’500 scappò dalle proprie terre occupate dall’impero ottomano, rifugiandosi nei centri rivieraschi dell’Adriatico. Gli Uscocchi furono pertanto dei profughi, ma anche dei combattenti intrepidi e feroci, e una volta giunti sulle coste illiriche, non smisero di battersi contro gli infedeli invasori, dandosi soprattutto alla guerriglia contro i navigli turchi. Si misero al servizio della nobiltà locale e, similmente ai soldati di ventura, furono anche ingaggiati e combatterono al soldo dell’Austria. Almeno inizialmente.
Col passar del tempo, infatti, gli Uscocchi allargarono il proprio campo d’azione prendendo di mira qualsiasi imbarcazione mercantile transitasse nell’alto Adriatico e dedicandosi anzi, con particolare passione, a depredare le navi veneziane cariche di spezie e di altre merci preziose. divennero, insomma, a tutti gli effetti, dei pirati: la qual cosa non fece un buon effetto a Venezia.
La Repubblica Serenissima teneva moltissimo alla propria immagine di nazione pacifica, tollerante e saggia… finché non la si toccava nel portafoglio! Se qualcuno ostacolava i suoi traffici commerciali, Venezia sapeva diventare spietata: per la città lagunare, il commercio era la base della sua economia e, nel contempo, della sua stessa visione del mondo. Essa viveva in funzione e grazie ai commerci. Si può quindi facilmente intuire con quale fastidio e con quale impegno abbia combattuto quella razza di ladroni che le era cresciuta, inopinatamente, in seno e che s’annidava nel mare che essa considerava un dominio indiscutibile della Repubblica, un dono di Dio alla città Serenissima.
La potestà veneziana sulle acque adriatiche e la libertà di navigazione in quel mare furono, in effetti, l’altro corno del problema. La pirateria uscocca, infatti, prosperò per decenni, non solo e non tanto per l’ardimento e l’abilità di quei corsari, ma grazie anche alla protezione che costoro godettero da parte dell’Austria, desiderosa di por fine al dominio incontrastato di Venezia sull’Adriatico.
Gli Uscocchi costituirono insomma lo strumento tramite il quale l’Arciduca d’Austria tentò più volte di mettere in discussione, anche a livello internazionale, il monopolio della città lagunare sull’intero bacino che s’estende da Otranto a Trieste e che la Repubblica chiamava, indifferentemente, Golfo Adriatico o Golfo di Venezia, tanto per far capire al volo a chi appartenesse.
[…]
I pirati Uscocchi furono per Venezia una specie di spina nel fianco, difficile da estrarre e ogni giorno più dolorosa. Scrive Minuccio Minucci:
“La lotta contro i pirati assomigliava ogni giorno di più a quella che può compiere il leone contro la zanzara, che per quanto agiti le zanne, gli artigli e la coda raramente riesce a colpirla e quel fastidioso insetto, ronzandogli fin dentro alle orecchie, lo inquieta e lo irrita sempre più.”
e più avanti aggiunge:
“è incredibile a dirsi con quanta velocità e con quanto ardimento quella gente compisse i propri latrocini, ingannasse chi era di guardia e con un guizzo sfuggisse dalle mani di coloro che dopo averli inseguiti stavano finalmente per acciuffarli.”
e così conclude:
“Sembrava che avessero sempre favorevoli sia il mare, che i venti, che il demonio stesso, in persona.”
[…]